L’articolo sotto riportato è scritto da Isabel Canicatti e Alessandra Sheila Vincitore ed è tratto dal sito https://www.stateofmind.it – https://www.stateofmind.it/2020/06/autismo-scuola/

L’autismo tra i banchi di scuola: strategie per l’intervento

La scuola svolge un ruolo molto delicato nel notare i primi segnali di autismo e successivamente creare un percorso mirato di studi e di inclusione

Con il termine Autismo si intende un disturbo del neurosviluppo caratterizzato da una sindrome comportamentale causata da un disordine biologicamente determinato, con esordio nei primi tre anni di vita.

Le aree prevalentemente interessate sono quelle relative all’interazione sociale reciproca, all’abilità di comunicare idee e sentimenti e alla capacità di stabilire relazioni con gli altri. L’Autismo, pertanto, si configura con delle caratteristiche “permanenti” che accompagnano la persona nel suo ciclo vitale, seppur presentino un’espressività variabile nel tempo e cambino da soggetto a soggetto (Linee Guida per l’Autismo, L. 134/2015).

ll DSM 5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) definisce i Disturbi dello Spettro dell’Autismo secondo due principali criteri:

  • deficit persistenti della comunicazione sociale e dell’interazione sociale
  • pattern di comportamento, interessi o attività ristretti e ripetitivi

In questo scenario, si pone enfasi sul concetto di spettro come di un continuum che va da deficit più gravi a meno gravi, pertanto si tratta di uno spettro variabile, che può comprendere sia persone con alto quoziente intellettivo che con ritardo mentale. All’interno dello spettro autistico, infatti, troviamo diverse diagnosi, che vanno dalla Sindrome di Asperger, che definisce persone ad “alto funzionamento”, al Disturbo autistico, che descrive invece persone a “basso funzionamento”, con grave disabilità verbale ed intellettuale.

Attualmente non sono state ancora individuate le cause certe dell’autismo: la comunità scientifica internazionale, però, tende a riconoscere un’origine multifattoriale, in cui le alterazioni genetiche avrebbero un ruolo principale, accompagnate da altri fattori ambientali, sia di tipo biologico, esperienziale, che psicologico, con grande variabilità da una persona all’altra. Tale interazione darebbe luogo ad alterazioni strutturali e funzionali del sistema nervoso centrale a partire dalla vita intrauterina e con evoluzione più o meno rapida e marcata.

Non sembra esserci nemmeno una prevalenza geografica ed etnica, in quanto è stato delineato in tutto il mondo, in ogni popolazione e ambiente sociale; presenta invece una prevalenza di genere, poiché viene diagnosticato maggiormente nei maschi (da 2,5 a 4 volte di più) rispetto alle femmine.

Autismo e scuola

Vari studi e ricerche dimostrano che la prevalenza dell’autismo tra gli alunni delle scuole italiane, e non solo, è in continuo aumento, attestandosi ormai intorno all’1% della popolazione scolare totale. Il dato è confermato dall’Osservatorio Nazionale per il Monitoraggio dei Disturbi dello Spettro Autistico, il quale sottolinea come si tratti di disturbi ad elevata complessità, che accompagnano l’individuo per tutta la vita e che, per questo, mettono alla prova tutto il sistema di assistenza (sanitario, educativo, economico).

In tutto questo, la scuola svolge un ruolo molto delicato e talvolta determinante: infatti, proprio all’ingresso della scuola dell’infanzia possono essere notati i primi segnali di “qualcosa che non va”. Si osserva, ad esempio, come i bambini fatichino a interagire con gli altri oppure a separarsi dalle loro attività solitarie per integrarsi nel gruppo. Non di rado gli insegnanti faticano ad affrontare questa situazione con i genitori, non sapendo cosa dire e soprattutto come dirlo. E’ possibile che nei genitori nascano dei sentimenti di negazione e rifiuto, per questo è importante che sia insegnanti che genitori siano accompagnati in questi delicati momenti da personale esperto, come può essere lo Psicologo Scolastico. E’ bene sottolineare come questi timori e questi dubbi spesso non facciano altro che ritardare la presa in carico di questi bambini, mentre l’Istituto Superiore di Sanità, nelle sue Linee Guida, pone proprio l’accento sulla necessità di un intervento precoce, in modo da aumentare l’efficacia dell’intervento stesso. Nei gradi scolastici superiori, invece, il problema non diventa più riconoscere e affrontare la presenza di autismo, quanto creare un percorso di studi e di inclusione che permetta a ogni bambino e ragazzo con Disturbo dello Spettro Autistico di svilupparsi e di apprendere al meglio delle sue potenzialità e di aumentare la qualità della sua vita, soprattutto in un’ottica di crescita dell’autonomia, anche in una prospettiva a lungo termine.

In Italia gli alunni con diagnosi di autismo frequentano regolarmente la scuola e sono seguiti da un insegnante di sostegno e, in alcuni casi, anche da altre figure professionali, come educatori, psicologi o assistenti alla comunicazione, che offrono assistenza scolastica specialistica. Ma questo non basta: un opportuno trattamento di questo disturbo, infatti, spesso prevede la conoscenza e la padronanza di tecniche specifiche e il problema che spesso si riscontra nelle scuole è la mancanza di personale adeguatamente formato. Ad esempio, uno dei metodi maggiormente usati ed efficaci, soprattutto nei casi di basso funzionamento, è quello ABA (Applied Behavior Analysis), ovvero l’analisi applicata al comportamento per la modificazione dei comportamenti disadattivi, metodo complesso che richiede una formazione specifica. Esso si focalizza su comportamenti significativi dal punto di vista sociale, consentendo così una reale crescita del soggetto e l’incremento dei comportamenti adattivi che sono presenti nei soggetti della stessa età cronologica e gruppo sociale di riferimento. I bambini e i ragazzi con autismo frequentemente non riescono ad imparare dall’ambiente naturale e per superare questo problema la terapia ABA si avvale di prove discrete (the discrete trial) in cui competenze e componenti sono suddivise in piccole parti più facilmente insegnabili. Si avvale, quindi, di programmi basati sui rinforzi, sfruttando la loro motivazione, e si struttura attraverso il raggiungimento di obiettivi chiari e precisi. Anni di ricerca internazionale hanno dimostrato l’efficacia dei trattamenti comportamentali nella riduzione di comportamenti impropri e nell’incremento della comunicazione, dell’apprendimento e di comportamenti adeguati nei soggetti con autismo.

Il bambino o ragazzo con autismo solitamente è seguito da un terapista debitamente formato e segue lo stesso protocollo anche a casa, per cui diventa fondamentale sviluppare una stretta collaborazione e una sinergia tra scuola-famiglia-specialista, in modo che tutti contribuiscano positivamente al buon esito del trattamento.

E’ però innegabile che la scuola costituisca di per sé un ambiente particolare: ci sono molte persone e molti stimoli a volte incontrollabili, spesso possono accadere imprevisti che rompono la routine (così basilare per i soggetti dotati di questo disturbo) e molto altro, per cui, se da una parte agli insegnanti è chiesto di aderire ai consigli di terapisti e genitori, dall’altra devono costantemente mostrare una grande capacità di anticipazione, adattamento ed inventiva. In classe vanno presentate strategie ad hoc.

Alcune strategie

Questi bambini e ragazzi, a causa dei deficit delle competenze relazionali, hanno bisogno di strumenti adeguati per interagire con gli altri, pertanto risulta importante:

  • incoraggiare a salutare appena il bambino o il ragazzo entra in classe, sia i compagni che il corpo docenti;
  • aiutare il bambino o il ragazzo ad attirare l’attenzione degli altri toccandoli o chiamandoli;
  • insegnare a chiedere aiuto quando ne ha bisogno, toccando e/o chiamando oppure con l’ausilio di immagini (Pecs – Picture Exchange Comunication System) se necessario;
  • incoraggiare a condividere le proprie cose con gli altri;
  • promuovere l’inclusione nel contesto classe proponendo delle attività e dei giochi da poter fare insieme.

Altro aspetto importante da considerare, a causa delle abitudini e dei rituali molto rigidi, è l’eventualità che si verifichino crisi o scoppi di collera, non riuscendo a reagire in modo funzionale alle rotture o forzature di tali rigidità. E’ pertanto auspicabile non forzarli bruscamente a cambiare le proprie abitudini, ma osservare il comportamento per imparare ad anticipare e gestire al meglio i problemi comportamentali. Ed è proprio nell’anticipare che si può cercare di insegnare ai bambini e ai ragazzi nuovi comportamenti adattivi e nuove abitudini più funzionali. Per fare ciò, a scuola, si potrebbe:

  • utilizzare l’analisi funzionale per individuare gli elementi che favoriscono i comportamenti problematici e in questo modo anticiparli e/o evitarli. L’analisi funzionale aiuta a sviluppare ipotesi circa lo scopo del comportamento messo in atto e la relazione tra il comportamento e l’ambiente, secondo un modello ABC basato sugli antecedenti, comportamento e conseguenze.
  • rispettare i suoi tempi;
  • strutturare la sua giornata in classe pianificando in anticipo le attività da svolgere (Agenda Visiva);
  • organizzare il materiale didattico e di gioco in modo ordinato così che sappia prendere autonomamente le sue cose;
  • incoraggiare l’imitazione dei pari;
  • assicurarsi che il bambino o il ragazzo rimanga in classe e con i compagni il più a lungo possibile, cercando di coinvolgerlo nelle attività. Risulta infatti di fondamentale importanza strutturare l’ambiente scolastico in modo adatto e favorevole.
  • insegnargli a riferire il suo stato/emozione anche attraverso le pecs;
  • scrittura/lettura di Storie sociali che descrivono, attraverso le immagini, una situazione sociale semplice. Ciò aiuta a capire i comportamenti propri ed altrui in modo chiaro e semplice;
  • utilizzare un programma di rinforzi per favorire e stabilizzare i comportamenti positivi e funzionali. Un esempio potrebbe essere la Token Economy, tecnica basata sull’erogazione di rinforzatori simbolici (token/gettoni) ogni volta che il comportamento bersaglio viene emesso, fino al raggiungimento di punti (stabiliti precedentemente) che permetterà l’accesso al premio finale (il rinforzatore vero e proprio).

Alla luce delle varie difficoltà di un bambino o ragazzo con autismo è necessaria un’alleanza tra i vari professionisti (Insegnante, Terapista, Educatore, Psicologo Scolastico, Logopedista, Psicomotricista e Neuropsichiatra Infantile) che mettano in campo metodologie, tecniche e strategie volte a favorire l’acquisizione o il potenziamento di abilità funzionali alla crescita della persona nei vari gradi scolastici e in tutti i contesti di vita. Altrettanto importante è la famiglia, coinvolta insieme ai professionisti stessi nell’azione di cura e progettazione di un percorso caratterizzato da un impegno condiviso per realizzare un efficace e reale inclusione sociale e per promuovere un progetto di vita declinato sulla persona, che va accompagnata e sostenuta nel diritto di autodeterminarsi e di raggiungere la maggiore autonomia possibile.

L’esito più evidente di tale alleanza è la stesura del PEI (Piano Educativo Individualizzato), documento che la scuola redige in collaborazione con tutti i servizi che seguono questi bambini e ragazzi, e che deve essere approvato anche dalla famiglia. Il PEI non è solo un “pezzo di carta”, come purtroppo spesso viene svalutato, ma una colonna portante del percorso di crescita degli alunni con disabilità; esso viene stilato sulla base della Diagnosi Funzionale scritta dal Neuropsichiatra Infantile e sul Profilo Dinamico Funzionale compilato dagli insegnanti proprio a partire da questa Diagnosi. La caratteristica di questi documenti è di valutare il funzionamento di ogni bambino per tutte le aree personali, sociali e scolastiche, evidenziando non solo le criticità, ma anche i punti di forza (è bene ricordare, infatti, che accanto a molti deficit, spesso sono presenti delle abilità, specie percettive e visuo-spaziali, attenzione per i dettagli e meticolosità). In questo modo viene costruito un iter scolastico che permette al singolo soggetto di raggiungere i propri obiettivi, tarati sulle sue potenzialità e sui suoi margini di miglioramento.

In conclusione, la scuola italiana ha una grande vocazione per l’inclusione, ma ciò non basta. Spesso, infatti, ci si scontra con dei limiti strutturali e logistici degli istituti (mancanza di spazi e materiali, scarsa formazione del personale docente sulle dinamiche specifiche proprie dell’autismo, difficoltà dei contatti tra i servizi…) che impediscono di mettere davvero in pratica tutte le buone intenzioni.

Se lasciata sola, la scuola può arrivare solo fino ad un certo punto, per questo è importante sottolineare come la presa in carico degli alunni con autismo (ma anche con disabilità in generale) debba necessariamente prevedere la partecipazione attiva e costante di tutti gli attori chiamati in causa: famiglie, scuola, servizi territoriali e specialisti. Solo in questo modo si può garantire ai nostri bambini e ragazzi un percorso di vita coerente, lineare e positivo.